Così dopo tanto vagare ho iniziato a chiedere. Il mio tedesco era già da allora ottimo per cui non avevo certo problemi a farmi comprendere e a comprendere. La cosa sorprendente fu che nessun passante conosceva sto "campo", non ne avevano mai sentito parlare... e neppure a far loro vedere il contrassegno sulla cartina, che lo indicava, sapevano rispondere. Si stringevano le spalle e indietreggiavano, per poi andarsene.
Mi veniva voglia di dire loro qualcosa in più sul campo di concentramento, o meglio, sui campi in genere, così, per vedere se riuscivo a rischiarare la loro memoria. Mi sembrava impossibile e assurdo che nessuno lì, in quella cittadina, avesse mai sentito parlare del campo! Osservandoli però, quel loro sguardo fisso, ottuso, per certi versi, mi rendevo conto che niente avrebbe risvegliato ricordi che non volevano ricordare.
Infine il campo l'abbiamo trovato. L'immagine che mi è rimasta, al di là delle orribilezze viste nel museo, è però qualcosa d'altro.
Ovvero la carina famiglia tedesca, che fungeva da guardiana, i cui bambini, belli biondini e spensierati, giocavano e giravano con i loro piccoli tricicli rossi, lì nei vari spiazzi del campo.
Un'immagine che ancora oggi mi stride dentro...
Poi, piano piano i tedeschi hanno iniziato a confrontarsi con quel loro passato, ed è venuto fuori il dolore, l'incomprensione, la rabbia, la vergogna e il bisogno di riparare voltando davvero pagina e confrontandosi con gli ebrei, o meglio, con gli israeliani.
Questo per dire che è normale la reazione di allontanare da sé ricordi brutti, che non si è ancora in grado di gestire e metabolizzare.
Però prima o poi arriva il momento, e questo è molto doloroso, ma vivificante, anche se si deve entrare in baratri che evocano atmosfere infernali.
L'importante è però entrarci con la consapevolezza della propria attuale forza. Se si è sopravvissuti a certe brutture imposte è perché indubbiamente si è forti. Ora, quella stessa forza utilizzata un tempo a resistere, è quella che ci può accompagnare oggi nelle discesa agli inferi per recuperare quella parte emotiva di noi che è rimasta bloccata là...
Le resurrezione implica sempre, prima, la morte.
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