Questa mia frequentazione costante dell'Ashram mi permette di osservare anche le persone che lavorano e vivono lì. Sono molto sobri, quasi austeri e gentili. Ma non hanno "sangue", se poi sono dei bianchi, questa mancanza di ciò che io definisco "sangue", ovvero della vitalità intrinseca, non certo quella dei biliosi sanguigni però, è davvero lampante.
I devoti sembra che siano lì per portare avanti una venerazione quieta e interiore. E forse questo è davvero il loro ruolo. E a loro io sono infinitamente grata, perché grazie a loro questo Ashram continua a esserci, e continuano a essere sempre meglio divulgati gli insegnamenti di Aurobindo e Mére. Come ho già detto hanno fatto un eccezionale lavoro nel dare alla stampa, suddivise ora anche in tematiche distinte, il loro enorme lavoro.
Tuttavia, vicino a loro non c'è "vita", sangue appunto. C'è serietà, silenzio anche quando parlano, venerazione e devozione.
C'è davvero più vita in Aurobindo e Mére che sono morti, ma che ciò nonostante, a livello energetico, e a livello sottile, sono qui presenti e forti con la loro testimonianza.
L'altro giorno ho iniziato a leggere The Mind of the cells, di Satprem, il discepolo che ha accompagnato Mére nei suoi ultimi trent'anni di vita, che aveva redatto le Agende di Mére, e che ha avuto con lei un rapporto eccezionale, di intesa intellettuale di anime, che si stimolano a vicenda e sono unite profondamente. Leggerlo è un piacere perché non c'è la semplice trasposizione delle parole di Mére, ma c'è in risposta anche il suo, di Satprem, lavorìo interiore. E questo rende davvero vive le sue parole.
Leggendo Saprem il gusto della lettura prende un sapore frizzante nell'animo che viene sollecitato. Loro stessi sono due anime in dialogo, che tra l'altro continua ancora, e per questo è in grado di offrirci preziosi stimoli alla nostra crescita.
Però, stranamente, i suoi scritti non sono pubblicati dalla casa editrice dell'Ashram.
Poi, alcune sue parole, nell'introduzione lasciano intendere come, i devoti, nella loro venerazione piatta, abbiano finito con l'isolare Mére, che secondo le parole di Satprem è morta in solitudine e incomprensione. E questo me lo posso immaginare. Mére era troppo vivace e brillante, e chiedeva lo stesso brillìo interiore. Simolava, incitava a svilupparlo. Ma i devoti sono come delle magnifiche e buone pecore che vogliono rimanere pecore. E questo lo dico senza alcuna cattiveria, perché comunque, come ho già detto, a loro si deve davvero molto...
Ciò nonostante, l'"odore" di vecchiume che traspare nella vita dell'Ashram c'è. Quel guizzo di Mére, così moderna, acuta, mobile, veloce nel pensiero e nella successiva sperimentazione, non si respira più. Anche se, lo ripeto, io sono davvero grata ai discepoli, perché fanno da cornice alla rappresentazione di Aurobindo e Mére. Sono un attrezzo che serve a tenere visibili questi due grandi. Poi, probabilmente, spetta a noi aprirci, se ne siamo in grado, e non a loro, essere fecondati da quell'incredibile messaggio che ci hanno lasciato.
12 novembre 2010 alle ore 18:45
per l'appunto se dovessi riassumere in un concetto l'insegnamento di aurobindo e mere, come lo faresti?
13 novembre 2010 alle ore 11:45
ci sto lavorando per cercare di sintetizzare l'essenza...
appena ci sono lo posto!
bacio
13 novembre 2010 alle ore 20:27
ahh che bella foto! :-)
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